L’uso concettuale della fotografia d’autore per la copertina di un magazine commerciale.

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L’uso commerciale della fotografia ha sempre contraddistinto aziende, prodotti o servizi che devono essere pubblicizzati al grande pubblico.

Sembra banale affermare che la fotografia deve trasmettere con immediatezza “l’immagine” che vogliamo comunicare di un prodotto , ma i concetti che sono dietro alla scelta di una foto anziché un’altra e i significati che attribuiamo a una immagine per caratterizzare il messaggio che vogliamo dare attraverso di essa, possono fare una grande differenza.
Le caratteristiche che rendono memorabili una fotografia sono sempre al centro di commenti e interpretazioni disparate, ma le fotografie che si ricordano hanno tutte in comune un quid che le rende diverse e condivisibili, certamente differiscono dalle altre perché non contengono mai tecnicismi amatoriali e hanno la capacità innanzitutto di raccontare: questo è il primo aspetto veramente decisivo e irrinunciabile.
Le immagini fotografiche hanno un senso quando raccontano una storia, quando affermano l’esistente in modo univoco, ne testimoniano l’essenza in un istante, quando l’emozione ha il sopravvento su tutti gli aspetti tecnici e compositivi,  lasciando così a chi la osserva un messaggio che possa essere recepito dalla maggior parte degli osservatori, attraverso segni universali.
Roland Barthes affermava che “La fotografia rende presente un evento passato” e nell’uso commerciale della fotografia dobbiamo mettere a frutto un evento passato per renderlo presente, non come memoria storica o documentale, ma come chiave per accostare attraverso la sensazione di un ricordo, un’emozione ad un prodotto.

Cosa non facile.
“Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate”.

Questa bellissima riflessione di Diane Arbus introduce quello su cui voglio rapidamente riflettere, ovvero il mondo del vino raccontato per immagini.

Illustrare per immagini, raccontare fotograficamente questo mondo non è semplice.

Ovviamente, non volendomi inoltrare nella spinosa e inutile distinzione tra fotografo e artista,  devo sottolineare che questo settore trabocca di stereotipi. Parlando di vino la prima immagine che viene in mente è la bottiglia, il bicchiere preferibilmente tenuto in mano, un volto meglio se con bicchiere.

Quando tempo fa un editore mi chiese di raccontare una quarantina di aziende vinicole, debbo dire che fui fortunato, mi diede carta bianca e approfittando di questa inaspettata libertà interpretai queste realtà imprenditoriali senza bicchieri mezzi pieni.

Ebbene, fu un grande successo fotografico ed editoriale: guardandolo oggi con soddisfazione, mi rendo conto che fui precursore di uno stile, di un modo nuovo e originale di raccontare il vino e la “gente del vino”.

Partendo dal semplice concetto che dietro ogni azienda ci sono persone, adeguai lo storytelling editoriale alla mia idea di fotografia. Seguirono altre pubblicazioni fotografiche che, sempre rappresentando idee e concetti piuttosto che cose e fatti, anticipando i tempi,  mettendo  il concetto prima del risultato estetico della stessa fotografia. Ma questo è il mio stile.

Finalmente arrivo al concetto legato alla copertina della rivista.

Qualche giorno fa mi sono state chieste fotografie per illustrare  la copertina di “La Freccia Gourmet”, un numero speciale dedicato al prossimo Vinitaly di Verona.

Dovendo pescare dal mio archivio non ho potuto che selezionare e proporre immagini realizzate con questo approccio e questo stile, pur ritenendolo poco “commerciale” e quindi teoricamente non in linea con il linguaggio solitamente utilizzato per questo tipo di manifestazioni. Inaspettatamente e piacevolmente il Capo Redattore e il Direttore hanno compreso lo spirito e ne ha apprezzato il messaggio, senza bisogno di spiegazioni, da veri gourmet dell’immagine.

Qui potete vedere una selezione delle sette immagini proposte: su quale cadrà secondo voi la scelta?

[Clicca sulle immagini per sfogliare le anteprime delle cover]

Fotografia, un ripensamento è doveroso.

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In un mondo in cui la fotografia è sempre più mezzo di cultura, un’espressione figurativa-evocativa  capace di concentrare ed esprimere le peculiarità di una cultura nazionale, le sue tradizioni e le storie delle sue genti va sicuramente ripensata, salvaguardata e tutelata.

Così dovrebbe essere, se riteniamo che fotografia non sia solo arte nel peggiore dei casi.

In questi ultimi anni la trasformazione sociale e mediatica ha portato esperienze espressive inimmaginabili, grazie alle piattaforme sociali di dialogo e comunicazione.

Molte discipline artistiche, compresa la fotografia,  si sono trasformate e adattate a nuovi linguaggi, in primis a quelli virtuali, che hanno piegato concetti e metodi comunicativi alle esigenze commerciali dei colossi della comunicazione come Facebook.

Dopo anni di evoluzione, o meglio trasformazione digitale, osserviamo un mondo molto diverso dove l’uso dei pensieri e dei concetti espressi attraverso l’arte visiva,  segna degli innegabili progressi culturali e contemporaneamente una regressione espositiva ed espressiva. Ogni analisi sociale o culturale attorno alla fotografia, fa innanzitutto riferimento ai mezzi espressivi tout court, difficilmente si spinge avanti tentando di ripensare l’uso proprio di arte, di mezzo divulgativo, di uso sociale ed anche economico.

Tralascio le solite affermazioni tipo, chi è oggi il fotografo, l’approccio del fotografo con i social-media, chi fa selfie non fa arte, solo i sacerdoti della verità sanno fare fotografia.

Possiamo dunque immaginare ancora un uso sociale della fotografia come fu nel secolo scorso ?

Qual’è lo stato dell’arte delle attuali discipline fotografiche ?
Questo sarà il tema del prossimo articolo che porrò alla vostra attenzione.

Ma prima voglio porre alla vostra attenzione dei dati interessanti sull’informazione in genere, che molto hanno a che fare con la comunicazione e la fotografia.

Ritengo questi dati necessari per comprendere  come il cambiamento culturale nella fruizione delle informazioni cambi anche  il modus operandi di chi si approccia poi alla fotografia odierna.

Il Reuters Institute Digital News Report 2016 traccia un’analisi interessantissima del come si utilizzano le notizie, un report molto complesso che illustra il sistema informativo e di come cambia il sistema di accesso alle informazioni stesse.

Il 51% degli internauti utilizza i social come fonte di di informazione e Facebook ne è di gran lunga il più usato . Interessante anche approfondire questo fatto per fasce d’età che vi risparmio, ma che intuirete. Il 53% lo fa attraverso lo smartphone. Inutile sottolineare le perdite economiche dei media tradizionali, ciò avviene in ben 26 differenti paesi in esame.

Dato curioso che emerge per il 78% degli intervistati è che preferisce leggere le notizie in forma testuale che tramite immagini o video. I principali motivi  per non guardare i  video sono che trovano la lettura di notizie più veloce e più conveniente (41%) e per il fastidioso  pre-roll pubblicitario (35%).

La sorpresa nei dati di quest’anno è che il video di notizie online sembra crescere più lentamente di quanto ci si potrebbe aspettare. In tutti e 26 paesi solo un quarto (24%) degli intervistati afferma di accedere ai video di notizie on-line in una determinata settimana. Il consumo di video è più alta negli Stati Uniti (33%). Al contrario, la media europea ponderata dimostra che meno di un quarto

(22%) utilizza video notizie in una settimana con alcuni dei livelli più bassi in Danimarca (15%) e Paesi Bassi (17%).

Un dato certo è che le donne sono più pigre degli uomini, a loro basta Facebook per leggere notizie, non vanno a vedere la fonte delle stesse su i siti web che le distribuiscono.

In Italia su 60 milioni di persone, solo il 62% ha accesso a Internet, siamo in Europa il popolo che guarda di più la televisione. Circa il 90% dei ricavi sono in mano a tre aziende: Sky Italia,  Mediaset, e RAI.

La fiducia nei confronti dell’informazione tradizionale è riconfermata: i maggiori player  dell’editoria nazionale che hanno spostato la propria attività molto all’online li troviamo così messi: La Repubblica (33%), Il Corriere della Sera (21%), il Sole 24 Ore (16%) e La Stampa (16%) che si dividono gran parte dell’offerta informativa online lasciando poco spazio agli altri.

Il mondo cambia radicalmente e molto in fretta, per cui anche la fotografia sta cambiando parimenti, ma la velocità è tale che nessuno azzarda previsioni, i futuri scenari sono incomprensibili, la rivoluzione in cui siamo immersi è sconvolgente, neanche gli esperti e gli investitori sanno bene che pesci pigliare, tant’è che in assenza di previsioni attendibili gli investitori “aspettano” e non investono neanche nel breve periodo con conseguenze pesantissime in questo settore, con l’Italia ancor più penalizzata dal resto dell’Europa.

Cambiamento positivo ?

Bubble filter è il vero problema?

La stessa Reuters afferma che  rallenta la creazione delle opinioni personali perché le riconduce in ambiti privati senza confronto costruttivo. Paradossalmente siamo più connessi di un tempo, ma è come se non lo fossimo. Per cui la “chiacchiera da bar” diviene formativa , premesso che il bar attragga persone con idee ed  opinioni valide ed accattivanti.

Per approfondire: http://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/sites/default/files/Digital-News-Report-2016.pdf

Claudio Bru

Caro Mark, devi rispettare anche in Italia, la legge sul diritto d’autore.

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Facebook, cancella deliberatamente i dati Exif che attestano la proprietà intellettuale sulle tue fotografie non rispettando la legge italiana sul diritto d’Autore.

Sapete tutti che basta un accenno di capezzolo in una fotografia che i signori delle libertà, i paladini della democrazia universale, ti bacchettino con il loro falso moralismo intriso di etica bacchettona che apparentemente vorrebbe tutelare virtù virtuali e dall’altra parte fa mercimonio di tutto il possibile anche contro i tuoi diritti.

Come ben sapete, ogni volta che caricate una vostra fotografia su Facebook, succede che dovreste perdere ogni diritto nei confronti dell’azienda statunitense che controlla il servizio di rete Facebook, la Facebook Inc. appunto.

I giudici del Tribunale di Roma hanno stabilito ultimamente che la pubblicazione delle foto sui social “non comporta la cessione integrale dei diritti del fotografo sulla sua opera”, per cui è risarcibile sia il danno patrimoniale che quello morale. Ribaltando il concetto che Facebook vorrebbe, questa sentenza del 2015 del Tribunale di Roma, afferma che spetta a chi usa le fotografie provare che non sono coperte dal diritto di proprietà intellettuale e non viceversa.

E qui la cosa può essere accettata in quanto questo servizio è regolato da un contratto tra voi e questa azienda dove, nelle note che avete sottoscritto, appare chiara questa clausola.

Facciamo un passo avanti.

Quello che non è citato nel contratto da voi sottoscritto ed è una cosa veramente scandalosa è che questi signori fanno abuso delle vostre opere fotografiche, ovvero cancellano tutti i metadati che contraddistinguono le vostre produzioni e che identificano la proprietà intellettuale della vostra fotografia come opera d’ingegno, assicurando inoltre la non riproducibilità, senza vostra autorizzazione, delle fotografie e la conseguente prova della paternità del vostro lavoro.

EXIF, IPTC e XMP i metadati utilizzati e inclusi nel file che software grafici riconoscono.

Il metadato è un termine che intende le informazioni descrittive incorporate all’interno di un’immagine o un altro tipo di file. I metadati sono importanti in questa era di fotografia digitale dove gli utenti sono alla ricerca di un modo corretto per memorizzare le informazioni e affermare l’autenticità delle loro immagini.

I metadati sono le informazioni extra che le fotocamere digitali imprimono nelle fotografie che vengono realizzate.

I metadati catturati dalla fotocamera sono chiamati dati EXIF, che sta per Exchangeable Image File Format.  La maggior parte di software fotografici digitali sono in grado di visualizzare le informazioni EXIF per l’utente, di solito non è modificabile.

Questa è una garanzia contro la pirateria informatica e nel rispetto del diritto d’Autore tutelato dalla legge italiana (o dovrebbe quanto meno esserlo).

In Germania, paese avanzato rispetto a noi sudditi italiani, un collega Rainer Steußloff, in un comunicato stampa dell’associazione dei fotografi tedesca FreeLens,  ci informa che ha intentato una causa contro Facebook per lo stripping automatico dei dati EXIF, in particolare lo standard IPTC delle immagini quando sono caricate sul social in questione.

Steußloff ha sostenuto che questa pratica viola apertamente il diritto d’Autore tedesco, e quindi Facebook deve cessare di applicare tale pratica..

In una sentenza del 9 febbraio scorso, la Corte tedesca ha decretato la sentenza di condanna contro questa pratica e dal momento che sono trascorsi sei mesi e Facebook non ha contestato la sentenza, il giudizio è considerato definitivo.
Cosa significa

Questa sentenza è specifica ovviamente per la sola Germania, ma Facebook è ora vincolata dal diritto tedesco a cambiare il suo meccanismo di upload altrimenti incorre in sanzioni fino a 250.000 euro ogni volta che un fotografo tedesco fa causa per questi motivi.

E in Italia? Il nulla.

Sollecitiamo, con una petizione, a impegnare l’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) a fare rispettare anche in Italia il diritto d’Autore non alterando i dati identificativi delle nostre FOTOGRAFIE chiedendo di applicare la delibera 680/13/CONS.

Con la Delibera 680/13/CONS è stato approvato il “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”.

SE TI INTERESSA CHE VENGA SALVAGUARDATO IL DIRITTO D’AUTORE DELLE TUE FOTOGRAFIE
PARTECIPA ALLA NOSTRA PETIZIONE

Sharing Photography, nel mondo della fotografia si è anticipato di anni la Sharing Economy.

REPUBBLICA DEL CONGO

Benita Matofska ne sa di molto di quello che “the people who share” ed afferma: “The Sharing Economy is a socio-economic ecosystem built around the sharing of human, physical and intellectual resources. It includes the shared creation, production, distribution, trade and consumption of goods and services by different people and organisations”.

Possiamo sostenere che la sharing economy (o anche economia collaborativa)è un’economia mista che tende a superare il tradizionale sistema di scambio come quello che conosciamo ancora, cioè prestazione in cambio di denaro, invece questa nuova economia vede un beneficio in una varietà più sfumata di forme di scambio, riscoprendo forse leggi antiche che li pone come “processi di creazione del valore” nuovi.

La sharing economy pone in discussione il concetto stesso di proprietà, non escludendo quella intellettuale, quella professionale. Forse un adeguamento al basso.

Una nuova accezione di valore commerciale, non solo materiale e/o finanziario, ma anche e forse declinato come immateriale, ad esempio sociale ed ambientale.

Per cui la crisi economica dei ceti medi, o forse la maggiore attenzione ambientalista a non sprecare ciò che si possiede, sta di fatto che questo concetto di l’economia di condivisione incoraggia a condividere appunto e ad usare le risorse in modo intelligente e senza sprechi.

Ognuno può approfondire il significato economico e sociale informandosi su due noti esempi: Uber e Airbnb.

Questo sistema di consumare “eticamente” spinge le persone ad impegnarsi in attività produttive tradizionalmente di competenza delle imprese o di professionisti.

Per cui, io possessore di fotocamera perchè dovrei rivolgermi ad un professionista della fotografia ? Faccio da me, e creo una nuova figura di fotografo con conseguente nuovo linguaggio e do adito ad un immaginario collettivo che si adegua a nuovi schemi logici, a nuove letture a nuovi segni fotografici; ecco dunque apparire foto ritratti di ragazze esangui colte all’imbrunire in boschi con pozze d’acqua e con faccine bianche e lentigginose. Per chi segue i social sarà semplice cogliere le nuove tendenze artistiche su come “fotografi who share” espletano la “sharing photography”.

E come tutti i processi di new economy anche la sharing photography crea nuovi orizzonti, nuovi mercati e nuovi soggetti che producono, consumano e si adattano al ciclo futuro di questa “arte economica di risparmio globale” adeguando richieste e compensi alle loro prestazioni, sia come sharing photography che come sharing soggetti, o sharing modelle, e financo sharing aziende e chi più ne ha più ne inserisca.

Dunque “the people who sharing” distribuiscono e ridistribuiscono le risorse con un sistema efficiente e “low price” su scala globale, ma anche ovviamente a livelli locali o nazionali.

Il concetto è che il pianeta è al centro del sistema economico e la creazione di valore avviene con le risorse ambientali disponibili, cioè con quello che c’è o quello che hai (la qualità dei prodotti o servizi è cosa da poco).

Condividere i beni allocati e disponibili tra i tra cittadini, le popolazioni è lo scopo ultimo, ridistribuendo economicamente il potere di processi decisionali, con un nuovo sistema democratico che incoraggi la partecipazione di massa creando una nuova cultura di prodotto/servizio condiviso, sostenibile e orientata al futuro.

Sciaguratamente non solo il mondo della fotografia segue questa crisi di tendenza, ma tante altre professioni, ne cito una per molte: il giornalismo. Leggere per credere. E’ ormai da tempo, specialmente su testate online, che chiunque sappia individuare le lettere sulla tastiera viene promosso divulgatore per cui legittimato a dire qualsiasi cosa gli passi momentaneamente per il capo, da ciò avrete notato che abbiamo vagonate di opinionisti di ogni specie ed in ogni settore dello scibile umano. Cosa non si fa per riempire spazi vuoti a basso costo.

Parafrasando il concetto e dunque adattandolo al settore fotografico, la “sharing photography” incentiva i cittadini-consumatori divenuto il fotografo-fotografato, non più tanto a possedere beni nuovi, quanto piuttosto ad ottimizzare e condividere quelli già posseduti e usufruire in tal modo, in un’ottica di sostenibilità e convenienza reciproca, di quelli altrui, come ad esempio la “competenza”.

I filosofi ottimisti affermano che l’innovazione non è mai di per sé deleteria ed anche il vecchio, se si rinnova e non si adagia sul passato, può starne al passo e trarne importanti benefici.

Concetto che io condivido pienamente e sostengo a spada tratta, a patto che questa innovazione, vada verso un reale progresso e uno sviluppo eticamente sostenibile, non vorrei proprio tornare ai tempi del baratto e della peste nera.

La storia è sempre quella.

REPUBBLICA DEL CONGO
REPUBBLICA DEL CONGO
ENI OFFSHORE GAS OIL PLATFORM

La storia è sempre quella.

Alle bombe stragiste dei servizi deviati, al terrorismo dei gruppi armati, oggi si sono sostituite altre

tecniche, meno truculente ma altrettanto efficaci per impedire il cambiamento e le necessarie riforme di

sistema. Ma molti non apprezzano il cambiamento, loro vivono bene in questa palude.

Ogni qualvolta si prova a cambiare, a mettere mano a privilegi, a intaccare il potere economico e

finanziario che si alimenta sullo stato di fatto, sulla arretratezza sociale e culturale del nostro paese,

scattano immediatamente le contromisure di quelle mille famiglie che vivono di rendita sulla nostra

complicata vita di sudditi e che decidono della nostra esistenza e del nostro futuro.

Purtroppo ho vissuto gli anni delle stragi di stato, degli anni di piombo, del terrorismo che determinarono

l’involuzione e la barbarie della guerra civile che costrinsero l’Italia ad un periodo di oscurantismo contro

chi invece lottava per una vita migliore. Oggi vedo la stessa situazione.

La memoria degli italiani è labile.

1973, inizio della crisi energetica dovuta sempre alla situazione mediorientale. Guerra del Kippur, attori:

Egitto, Siria, Israele. Il petrolio, sempre il petrolio.

1979, altra crisi energetica, ma stavolta lo shock petrolifero fu provocato dalla rivoluzione islamica in Iran e

dalla guerra tra Iran e Iraq di Saddam Hussein del 1980.

i problemi energetici divennero problemi di disoccupazione: l’energia fu la causa della crisi economica degli

anni settanta.

Il buio delle città, per la seconda volta in dieci anni, dopo la prima crisi del 1973, mostrava la dipendenza

delle importazioni di petrolio.

L’occidente capì bruscamente la necessità di autonomia energetica.

Sarà proprio il risparmio energetico, insieme al picco dello sviluppo nucleare, a permettere ai Paesi

Occidentali di trattare con il cartello OPEC, poiché gli emiri arabi investivano abitualmente nelle borse

occidentali.

L’obiettivo dell’Italia era quello di mantenere competitive le esportazioni, come oggi del resto.

Assistemmo in quegli anni alla radicalizzazione delle lotte sindacali, a una accentuata instabilità dei governi,

alla recrudescenza del terrorismo. I cambiamenti che interessarono l’Italia si dimostrarono deleteri

riaffermando il paese dei “cento comuni” con divisioni sociali, politiche, che fecero della precarietà politica

la nostra bandiera. Nessun orgoglio in noi, per chi potremmo essere se fossimo un popolo unito, ma

sappiamo dalla nostra storia che il motto “dividi et impera” per noi meschini è sempre adatto.

Noi italiani siamo geneticamente tarati per la forza centrifuga, per essere aizzati alla divisione e non al

dialogo, mai e poi mai alla unità di intenti, ad un sano orgoglio nazionale. Siamo dediti alla deleteria pratica

del dileggio, del cercare il nemico in casa, e basta un guitto che indichi la luna e noi tutti li, a belare.

Leggere, documentarsi, acquisire conoscenza , trovare soluzioni condivise, sembra utopia.

Citando il titolo, appare chiaro come la storia si ripeta.

Gli strumenti, le armi oggi a disposizione, per chi si oppone al cambiamento, non sono più le bombe ( a

quelle ci pensano gli jihaidisti di turno) ma strumenti appartenenti alla comunicazione e all’informazione, o

meglio alla disinformazione strutturata e permanente.

In un mondo iperconnesso, attribuiamo maggiore valore ai contenuti che si adattano bene al nostro modo

di pensare, scartando l’idea di riflettere e di verificare. Vale di più la struttura dei contenuti veicolati che i

contenuti stessi. Ecco dunque il sistema che si costituisce e si sostituisce agli “eversori materiali”, gli

architetti della comunicazione pervasiva sono li a progettare le macchine del fango che inondano la vasca

della nostra coscienza.

Fotografia e memoria

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Emanuele è un giovane fotografo che spesso ho il piacere di ricevere nel mio studio, come molti giovani fotografi è pieno di passione ed energia che ancora non sa bene dove indirizzare per esprimere pienamente la sua voglia di raccontare, di osservare il genere umano.

Ieri si discuteva di pellicola e di stampa, al che ho voluto mostrargli alcuni lavori che componevano una mostra fotografica di alcuni anni orsono.

Stampe in fine art, puro cotone, realizzate con metodo Digigraphie.

Dopo il quarto “bellissima questa immagine” mentre sfogliavamo questi ricordi di carta, mi dice che sono un egoista, che devo mostrare i miei lavori ai giovani, “loro” devono vedere, devono imparare.

Bene, accontentato.

Hedy è il soggetto di questi scatti, per chi non la conosce professionalmente, è la migliore fotomodella italiana.

Questa serie di fotografie vorrei che fossero lette come un riassunto della nostra conoscenza, vorrei essere stato capace di restituire un ritratto intimo ripreso da un punto di vista privilegiato, ossia quello dell’amicizia che vanto con lei ormai da anni.

“Quasi bella, aveva lievi difetti che ne aumentavano il magnetismo. Le sopracciglia formavano una linea continua che le attraversava la fronte e la bocca sensuale era sormontata dall’ombra dei baffi. Chi l’ha conosciuta bene sostiene che l’intelligenza e lo humour di Frida le brillavano negli occhi e che erano proprio gli occhi a rivelarne lo stato d’animo: divoranti, capaci di incantare, oppure scettici e in grado di annientare. Quando rideva era uno scroscio di risa profondo e contagioso che poteva nascere sia dal divertimento sia come riconoscimento fatalistico dell’assurdità del dolore». Hayden Herrera, nella biografia descrive così l’aspetto e il carattere della pittrice messicana Frida Kahlo.

Descrivere Hedy, accostandola a Frida Kahlo, lo ritengo il modo migliore per rendere un tributo alla sua capacità espressiva di interpretare l’arte, con il suo corpo.

Qinghai, esempio di convivenza etnica.

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Quando si atterra all’aeroporto di Xining   si è già ad un’altitudine di duemila metri. Siamo nella parte nord-orientale dell’Altipiano tibetano. In questa provincia sconfinata della Cina nascono i fiumi Yangtze e Mekong, a nord troviamo le sorgenti del Fiume Giallo o “culla della civiltà cinese” il secondo più lungo del Paese. Il Qinghai è la storica provincia tibetana di Amdo e fa parte del vasto ed elevato altopiano dell’Asia centrale, il più alto e più vasto del mondo, con una superficie di 2,5 milioni di chilometri quadrati, otto volte l’Italia.

Qinghai è nota per il suo “lago azzurro” Koko Nor, il più grande lago di montagna con acqua salata, privo di emissario a 3500 m. di altezza sul livello del mare.

Questo immenso territorio, nei secoli, ha dimostrato come sia possibile la convivenza di numerose e diverse etnie. La maggior parte del territorio storicamente era parte della regione dell’Amdo dove tra l’altro è nato Tenzin Gyatso l’attuale Dalai Lama, nel 1928 divenne poi una provincia della Repubblica di Cina.

La popolazione del Qinghai conta meno di sei milioni di abitanti suddivisi in Han, Tibetani, Tu, Hui, Salar e Mongoli, incredibile ma vero.

Costeggiando il lago Koko Nor si trova Gongbao Dong, una grotta su una montagna meta di pellegrinaggio dei tibetani fin dai tempi remoti. La credenza popolare afferma che entrando nella grotta si passa direttamente in India, terra originaria del Buddismo. Il pellegrinaggio lo celebrano ogni 60 anni. Molti fedeli tibetani, uomini, donne con vecchi e bambini percorrono centinai di chilometri a piedi, alcuni adepti solitari, particolarmente devoti, avanzano stendendosi a terra pregando per tutto il tragitto, nonostante le distanze impressionanti.

Come in tutto il mondo e per tutte le religioni, si sviluppano accanto alle vie sacre e ai centri di culto, molte attività commerciali a supporto dei pellegrini. Ad esempio sulle rive del lago sorgono numerosi accampamenti di fortuna costituiti da yurte, che offrono ospitalità, per pochi soldi, ai viandanti.

Attraversate le catene montuose tibetane si arriva in una steppa ondulata dove si incontrano solo pastori tibetani, yak, pecore e capre. Cosa particolare è che l’allevamento delle pecore è indirizzato solo al consumo della carne e non alla produzione del formaggio che notoriamente non è molto gradito da quelle parti. Piatto tipico per cui è la pecora bollita, e latte e burro si consuma esclusivamente quello di yak.

Una parte di mondo questa, rimasta ancora vergine, anche se visitando alcuni monasteri ti accorgi che il progresso è arrivato anche qui. Molti monaci girano con i suv e con l’immancabile smartphone attaccato alla cinta, per cui tra una “girata alla ruota della preghiera” e un’ora di meditazione si ha anche il tempo per una telefonata, che come si sa allunga la vita.

Quando fui invitato dal Governo di questa provincia per realizzare un reportage non immaginavo la bellezza che avrei trovato, nei luoghi incontaminati e nelle persone socievoli. I tibetani sono persone umili, miti e gentilissimi, la cui indole contrasta con la rudezza della loro pelle. Loro misurano la ricchezza con il numero degli animali che compongono le mandrie, di cui molte enormi per numero di capi di bestiame. Non accumulano ricchezze, ne’ case, tutto quello che non è necessario alla loro vita quotidiana lo danno ai monaci, ma le nuove generazioni si discostano molto da questa tradizione.

Nelle varie diaspore millenarie molti popoli si sono spostati in questi luoghi come l’attuale minoranza mussulmana degli Hui, noti per la qualità del loro cibo. Attualmente credo siano loro che detengano le tre stelle Michelin per i loro piccoli ristorantini di strada. La loro cucina è nota per essere la migliore nella preparazione di pasta in brodo, tipo maltagliati, veramente eccezionali.

Tra i molti ricordi indimenticabile l’incontro avuto con una “monaca” che condivise con me il suo frugale pasto consistente in patate leggendarie, coltivate a cinquemila metri d’altezza, buonissime. Mi accolse nella sua casa, una semplice stanza riscaldata da una stufa a legna, ma da li si vedeva il mondo.

Il negativo positivo

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Il negativo è sempre anche positivo affermava Friedrich  Hegel.

I nostri occhi colgono un miscuglio di infiniti colori, un senso, un significato, uno stato psicologico o dell’anima, che nulla ha di materiale, “il colore” appunto.

Molti fotografi riducono il colore a due sole entità, al bianco che simboleggia la purezza e al nero che evoca morte, qual è il senso ?

Se l’uomo da sempre utilizza i colori per descrivere il proprio stato d’animo, i pensieri, anche le virtù e le sue debolezze dipingendole su tele, quadri, colorando muri o qualsiasi altro materiale, allora perchè l’espressione fotografica accetta spesso di estremizzare il suo linguaggio e non usare tutti i colori.

I colori illustrano il mondo, e quello che ne scaturisce alcune volte è più descrittivo delle parole.

Allora, perchè.

Si dice che la preferenza al colore nero sia di chi ama irrazionalmente, lo ama chi ha un carattere ribelle, autoritario, precipitoso ed è colui che ama l’eleganza. Mentre il bianco simboleggia la fatalità, è il colore apprezzato da chi ha un animo creativo, da chi ha fiducia nel prossimo e si proietta nel futuro.

Il colore da vita all’immagine, la rende carica di significati e le da forma, è uno dei molti aspetti del nostro linguaggio non verbale.

Noi reagiamo ai colori in diversi modi, con origine dai retaggi culturali che ciascuno di noi ha accumulato nella sua esperienza di vita, essi attingono al subconscio collettivo per realizzare però percorsi mentali più complessi. L’uomo nasce da una semplice esperienza ciclica: giorno e notte, luce e oscurità. Questi semplici fattori restituiscono due colori: bianco e nero, complementari, ma opposti. La massoneria per esempio, da del bianco nero, il significato templare dei due colori, come nell’Orifiamma, il sacro gonfalone, detto anche Beauceant, o Valcento, sotto il quale andavano in battaglia i cavalieri custodi del Tempio chiamati dai musulmani “i diavoli bianchi”. Esso alterna orizzontalmente il nero, simbolo concreto, materiale di guerra col bianco, simbolo spirituale e di pace.

Interessante il significato stilistico delle nere tute indossate dagli odierni Black Bloc.

Molte le religioni e le correnti filosofiche che alternano i due colori con vari significati. Bianco e nero, quindi, le due facce dell’unità, della divinità e dell’umanità, come l’uomo e la donna, apparentemente distinti, ma indissolubilmente uniti nel loro destino.

E ancora bianco e nero come positivo e negativo, il negativo è sempre anche positivo affermava Friedrich  Hegel .

Si trovano disquisizioni sull’uso del B&W in fotografia a iosa. (iosa significa “in abbondanza”, deriva dalla parola chiosa, che indicava le monete finte con cui giocavano i bambini. Le monete erano di piombo e valevano pochissimo. Per questo motivo, qualunque cosa si potesse pagare con le chiose doveva essere di scarso valore e quindi molto abbondante).

Cito un link da una istituzione nel mondo della fotografia: “Il bianco e nero trasmette un’idea di nostalgia ricorda non solo le vecchie fotografie, ma anche gli albori della televisione. In realtà, il bianco e nero è molto efficace nel mettere in risalto le forme e le tonalità del soggetto. Il bianco e nero è in grado di conferire un’immagine forte a un soggetto che a colori potrebbe apparire meno incisivo.”

Tutte cazzate, volete dare un senso alla vostra cultura fotografica o godete nel subire sempre le solite idiozie con i soliti banali luoghi comuni ? Per apprendere dovete impegnare tempo e denaro, per cui cercate autorevolezza signori, non sprecate il vostro tempo, altrimenti sarete sempre “pesciolini” dietro a chi vi da qualche piccola briciola di conoscenza, non a colui che vi insegnerà a pensare.

P.S. per chi volesse cogliere il nesso storico e figurativo del linguaggio fotografico in bianco nero chieda pure, visiteremo assieme la chiesa di San Luigi Dei Francesi a Roma.

 

 

 

 

 

 

 

Le Perdùne di Taranto, processione dei Misteri.

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La Settimana Santa di Taranto ha una “particolarità” rilevante e sconosciuta ai distratti visitatori che non ne conoscono ovviamente la vera entità, sia religiosa che sociale. E’ la disputa che precede la Processione dei Misteri di questi giorni. Le Confraternite svolgono durante la Domenica delle Palme una vera e propria asta in cui i membri delle confraternite del Carmine  e dell’Addolorata si contendono, pagando,  il riconoscimento e il conseguente ruolo sociale, nel portare in processione i “Misteri” e altri simboli della Passione di Cristo. Una tradizione antica che ricorda come questi riti siano un atto di fede certamente, ma cosa rilevante è sopratutto il momento in cui alcuni cittadini  mettono in mostra il proprio “potere”  mostrando ruoli ed equilibri sociali che determina poi la vita stessa della città stigmatizzati nei vari ruoli durante la processione. Non ho tempo per digitalizzare tutte le fotografie, ma emblematica per capire lo svolgimento della processione dei confratelli che “nazzicano” sarebbe un oggetto molto semplice, di legno, la “troccola”.

l fine ultimo è sempre lo stesso di tutte le processioni: espiare i propri peccati, rituale antico.

Queste poche immagini sono parte di un servizio degli ultimi da me realizzati in pellicola negli anni ottanta.